Ci siamo rincorse un po’ io e Paola, prima di sentirci al telefono! Ma ci siamo riuscite ed è stata una bella chiacchierata, piena di spunti di riflessione e utili pensieri per affrontare il nostro mondo della bicicletta! Paola Gianotti è una ciclista di endurance, motivational coach e scrittrice, detentrice del Guinness World Record come donna più veloce del mondo ad aver circumnavigato il globo in 144 giorni, donna più veloce al mondo ad aver pedalato per i 48 Stati degli USA in soli 43 giorni e donna più veloce ad aver attraversato il Giappone in bici! Una Super Donna! Dopo aver parlato un po’ e dopo averle presentato il mio progetto Bike Therapy, siamo entrate nel vivo dell’intervista, ed eccovi il nostro botta e risposta!
La bicicletta come terapia
E. La Bicicletta per te può essere terapia? In che termini?
P. Si! Sicuramente lo è, lo è in due termini: terapia dal punto di vista fisico, nel senso che crea endorfine come qualsiasi sport, soprattutto in endurance, e questa chimica che si crea nel momento in cui si utilizza la bici provoca una terapia positiva nelle persone. Poi a livello mentale, perché quando si è fuori in bicicletta, a contatto con la natura o in giro per il mondo, o in giro per il proprio comune, per la propria città, il contatto con l’aria aiuta la mente a liberarsi dai pensieri negativi e ci fa vedere le cose da un altro punto di vista. Se si ha un problema lo si vede in un modo diverso. Quindi la bicicletta a tutti gli effetti sia dal punto di vista fisico, ma soprattutto dal punto di vista mentale, è la miglior terapia ancor di più delle medicine!
E. Le racconto che sono stata in Africa, nel 2015, in Tanzania, per un progetto di cooperazione che si chiamava Tulime Baiskeli, che in lingua swaili significa “Coltiviamo Biciclette”. Insieme ai miei compagni di viaggio abbiamo acquistato, attraverso delle donazioni, alcune bici con freni a bacchetta, che abbiamo regalato alla comunità locale di Pomerini, aiutandoli inoltre a realizzare una ciclofficina. La bicicletta ci aiuta a comunicare anche dei messaggi importanti. Nel 2017 hai infranto il terzo record del mondo attraversando il Giappone in 9 giorni e portato avanti un progetto di solidarietà in Uganda con la costruzione di una ciclofficina meccanica. Quali parole ti senti di usare per trasmettere il concetto di bicicletta come cooperazione e terapia e come mezzo per accorciare le distanze che oggi purtroppo separano persone e popoli?
P. Quello che ho fatto negli anni è stato di utilizzare la bicicletta come strumento di solidarietà. Il progetto fatto in Uganda, durante il terzo record, era già partito l’anno precedente, nel 2016, quando ho attraversato i 48 stati degli USA e ho raccolto i fondi per acquistare 100 biciclette che ho donato a 100 donne in Uganda nella zona del Karamoja. Queste donne per andare a prendere l’acqua devono fare chilometri a piedi e i bambini non hanno niente in quelle realtà, che chiaramente non sono fortunate come le nostre. Quindi la bicicletta, per me, rappresenta di per sé un mezzo di solidarietà e in questo momento storico che stiamo vivendo può essere ancora di più un mezzo per riuscire a stare con le altre persone, in un contesto anche di sicurezza, perché si è all’aria aperta e vi è il distanziamento tra le persone. Vi sono studi in cui la bicicletta aiuta a prevenire qualsiasi malattia e problematica e quindi l’utilizzo aiuta a mantenere quella vicinanza che purtroppo si è andata a perdere. Aiuta a mantenere una socialità anche in questo periodo in cui dobbiamo mantenere le giuste distanze. Quando si pedala, tra le persone si condividono gli stessi valori e la cosa più bella è che non ci sono distinzioni sociali. Siamo tutti uguali.
E. Sei una Mental Coach, quale è la debolezza più frequente che ti capita di ascoltare e quali consigli riesci a dare per far guardare a un futuro positivo? Quali esercizi fisici e mentali consigli alle persone che devono superare un periodo difficile della loro vita?
P. Quello che le persone mi chiedono di più, relazionato proprio al periodo in cui viviamo, è di avere un focus sui propri obiettivi, perché forse lo hanno un po’ perso. Si viaggia nel buio, si ha molta incertezza nei confronti del futuro e quindi consiglio di riuscire a ri-centrarsi sui propri obiettivi. Come farlo? Suggerisco di pensare a piccoli passi. Stiamo vivendo una situazione che non dipende da nessuno, che non può essere sotto il nostro controllo. Quello che possiamo fare è di ripensare alla nostra vita anche nei termini in cui non lo abbiamo mai fatto, a causa del vortice della nostra quotidianità. Il mio suggerimento è di ri-focalizzarsi sugli obiettivi del prossimo anno in chiave di ciò che si vuole realmente fare, guardandosi dentro. Il 2020 ci ha costretti a stare fermi e abbiamo avuto modo di pensare e capire cosa ci piace e non ci piace della nostra vita. Quindi adesso è arrivato il momento di pensare ai propri obiettivi riguardandoli e calcolandoli attraverso le cose che ci fanno stare bene e non alle cose che siamo obbligati a fare, dalla società, dalle nostre convinzioni, dalle nostre paure, dal nostro solito modo di fare. Rivedere la vita in chiave nostra.
E. Nel 2018 e 2019 hai pedalato lungo il percorso del Giro d’Italia, sulle orme di Alfonsina Strada. Oggi, nello sport, le donne hanno ancora degli ostacoli da superare, soprattutto a livello agonistico, rispetto agli uomini. Quali difficoltà hai dovuto superare e quali consigli puoi dare per migliorare questo aspetto sociale e culturale e sconfiggere questa diversità?P.Sicuramente nel ciclismo c’è un ambiente molto maschile e molte volte è difficile fare valere i propri diritti, avere le stesse condizioni che hanno gli uomini e per questo ci si sente un po’ inferiori. In realtà penso che bisogna avere il coraggio di fare tutte le cose che si sentono proprie, indipendentemente dai pareri delle altre persone e dalla società. Quello che consiglio alle donne è di non avere mai paura di confrontarsi in tutti gli sport che sembrano più legati al mondo maschile. Nel ciclismo una componente importante è quella mentale. Noi donne, da questo punto di vista, è inutile dirlo, siamo forti, abbiamo quel quid in più che ci permette di fare delle cose straordinarie, nonostante una carenza fisica. Ad esempio in uno sport di ultra distanza è la mente che fa la differenza e su questo, non solo siamo pari, ma siamo oltre, anche solo come sensibilità di intraprendere certi percorsi. Gli uomini sono più diretti e vedono meno certi aspetti, noi donne abbiamo la capacità di far vivere lo sport in modo molto più bello, emozionale e magico.
La sicurezza stradale del ciclista
E. La tua missione degli ultimi anni è quella della sicurezza stradale e del rispetto per il ciclista. Stai portando avanti la campagna “Io rispetto il ciclista”, facendo installare dei cartelli stradali con l’indicazione di superare a un metro e mezzo per creare attenzione. Tu stessa sei stata vittima di un incidente che ti ha fatto interrompere il tuo progetto di giro del mondo, cosa ti è successo?
P. Avevo pedalato già per 15.000 Km, ero nel deserto che collega la California con l’Arizona, ed ero ormai alla fine delle ultime tappe, che chiudevano la traversata degli Stati Uniti e poi mi sarei dovuta spostare in Australia. Stavo pedalando su un rettilineo, prima mi ha superato un camion, che nella fase di sorpasso ha rallentato, e dopo è arrivata un’auto. Il ragazzo che era alla guida parlava al cellulare e non si è accorto che il camion aveva rallentato, è andato a sbattere contro il camion travolgendo me di lato. Mi sono rotta la 5° vertebra cervicale, rischiando la paralisi. Fortunatamente la frattura era composta e quindi non ha comportato nulla a livello permanente. Io mi sono dovuta ovviamente fermare e così si è fermato il mio progetto. Sono stata due mesi negli Stati Uniti perché volevo ripartire, ma la vertebra era ancora aperta e quindi sono dovuta rientrare in Italia dove sono stata ferma per altri due mesi sino a quando la vertebra si è risaldata. Sono ripartita dopo 4 mesi esatti dal punto dell’incidente per proseguire il giro del mondo. Adesso sto bene!
La bicicletta come comunicazione
E. Quanto la buona comunicazione e l’essere attivisti possono diventare terapia anche per una società così fragile e poco attenta ai temi della sicurezza stradale? Se oggi dovessi ripensare a una campagna sulla sicurezza stradale, quali parole virtuose vorresti comunicare?
P. La comunicazione più importante è la giusta convivenza tra automobilista e ciclista sulla strada. Quello che faccio è una doppia educazione. Educazione verso il ciclista a rispettare le regole, mettere sempre il casco, rendersi il più visibile possibile sulla strada e dall’altra parte l’educazione all’automobilista, sul fatto che su strada ci sono anche i ciclisti e pedoni e che sono le entità più deboli e più fragili. Quello che ci vuole è appunto rispetto sulla stessa strada di entrambe le componenti. È chiaro che la mia campagna è dedicata più all’automobilista e all’attenzione che deve avere nei confronti del ciclista. In Italia, muore un ciclista ogni 35 ore. Il ciclista che fa la cavolata, non uccide nessuno, mentre l’automobilista che parla al cellulare o va ad alta velocità o si distrae, uccide un ciclista o un pedone. Detto questo, il ciclista che non rispetta il codice della strada non è giustificato. Quindi, la mia, è una campagna a doppio senso. La mia massima aspirazione è vedere la giusta convivenza su strada di tutti i soggetti.
E. Hai avuto la possibilità di entrare in contatto con tantissimi amministratori locali che ti hanno dato la possibilità di mettere sul loro territorio i cartelli stradali. Quali sono le frasi più belle che hai ascoltato durante questa missione?
P. Ho trovato tantissima partecipazione che non mi aspettavo. Da parte dell’amministrazione comunale non è stato semplicemente il posizionare un cartello, ma sentire il progetto come loro, come se volessero tutelare la loro comunità dall’evitare incidenti sulle strade. Quello che ho sentito di più è stata l’accoglienza con passione di tutte le amministrazioni comunali nei miei confronti e del mio team. Come se il progetto lo sentissero loro. Questo ha fatto la differenza.
E. Hai scritto vari libri, ad esempio “Sognando l’infinito” e nell’ultimo “In fuga controvento” racconti che per te i sogni sono importanti e che per realizzarli bisogna crederci e combattere. Tu hai sfidato il mondo in bicicletta, quali valori e quali sogni ti hanno stimolata?
P. La ricerca di me stessa. La vita che avevo intrapreso prima di fare il giro del mondo in bici era qualcosa che non sentivo mia, era voluta da altri, a un certo punto, mi sono ribellata a tutto questo e ho deciso di essere quella che volevo e portare avanti le mie due passioni, lo sport e il viaggio che volevo trasformarle nel mio lavoro. Il sogno di fare il giro del mondo in bicicletta è stato dettato nel coniugare in un binomio perfetto queste mie due passioni. Dietro c’era una grandissima voglia di ricercare me stessa e di essere la Paola che volevo essere e vivere la vita che volevo vivere veramente!
E. Quando decidi di scrivere un libro, quali esercizi di concentrazione fai esprimere i tuoi concetti al meglio?
P. Quello che faccio, in realtà, è buttare giù le idee come mi vengono e poi cercare di sistemarle. Quando sono in bicicletta oppure quando corro, mi vengono tante idee di pensieri sulla vita, sulla società che poi appena arrivo a casa metto su carta. Anche in questo caso la bici è terapia, nel senso che ti fa vedere determinati aspetti della vita che diversamente vedresti. Perché quando pedali sei a contatto con la tua anima ed è difficile esserlo durante la propria giornata normale. Invece quando faccio sport e decido di superare i limiti, andare oltre, riesco a vedere le cose in un altro modo, quando torno a casa butto giù le idee e le metto a posto per poi farne un libro.
La bicicletta abbinata ad altre discipline sportive
E. Abbini alla bicicletta altre discipline sportive che possono aiutare la tua performance? Quali altre attività svolgi?
P. A me piace tantissimo camminare, faccio tanto trekking, correre e quando si può faccio esercizi in palestra, pesi per rafforzare la muscolatura.
E. La bicicletta è terapia sia nei suoi fini sportivi, sia utilizzata quotidianamente in città. Quali consigli vuoi dare alle persone che sono restie, per paura, ad utilizzare la bicicletta negli spostamenti quotidiani od anche a chi già la utilizza tutti i giorni?
P. A chi non la utilizza, dico di provare a fare almeno una volta uno spostamento per rendersi conto dei benefici che può dare la bicicletta al posto dell’utilizzo della macchina, soprattutto se si vive in grandi città può aiutare a muoversi in modo più veloce e fa stare bene. Per chi va invece tutti i giorni in bici a lavoro, il mio consiglio è quello di fare pubblicità sull’utilizzo della bicicletta e spingere sul discorso sicurezza, perché chi va in bici tutti i giorni sa benissimo che purtroppo al momento la situazione è ancora difficile, chiedo di portare avanti anche loro una piccola campagna quotidiana sulla sicurezza stradale.
E. Quali consigli vuoi dare alle nuove generazioni?
P. Imparare ad essere flessibili nella vita e di prendere l’accessibilità alla rete e alle informazioni come una grandissima opportunità, pensando ai valori che vogliono portare al mondo.
E. Quali progetti futuri prevedi per il 2021?
P. Continuare a portare avanti la campagna per il rispetto del ciclista sulla strada, continuare il giro delle regioni d’Italia con l’obiettivo di far diminuire i morti sulle strade.
Articolo di Elena Giardina
Il valore della sicurezza stradale e il rispetto per i ciclisti. Intervista a Paola Gianotti